|
Deportazione, deportazioni. Una vicenda al plurale.
Il significato di una iniziativa: alcune note al riguardo
Parlare del passato vivendo nel presente con un occhio orientato al futuro. E’ questa la filosofia di fondo che ispira “Deportazione, deportazioni. Una vicenda al plurale”, il ciclo di incontri, organizzati dall’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini e dal Comitato regionale per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana del Consiglio Regionale del Piemonte che, tra novembre e dicembre, raccoglieranno a Torino gli insegnanti e il grande pubblico della regione sui temi della storia e della natura delle deportazioni in Europa, durante la sua occupazione per parte nazista. Vi sono alcune cose che vanno sottolineate, per meglio intendere la qualità della proposta culturale, trattandosi di un approccio che vuole essere innovativo rispetto ad un tema storiograficamente molto dibattuto: soprattutto vanno rilevati il riferimento alla pluralità del fenomeno deportativo e concentrazionario così come una interpretazione dello stesso che vuole fondarsi sulla interdisciplinarietà, ovvero facendo ricorso a tutte le scienze e i saperi che possono aiutare a comprenderne la sua complessità. Poiché abitualmente lo si traduce in un unico evento, senza tenere nell’opportuna considerazione la molteplicità di vicende che connotarono quella tragedia collettiva, propria di una generazione di europei, la cui conclusione era l’internamento in un lager. E senza capire che la sua integrale comprensione richiede l’intervento di più discipline, trattandosi non di un tema strettamente storico bensì di un insieme di fatti che ci richiamo alla più stringente attualità se non altro perché in essa riecheggiano.
A tal
guisa, Giovanna Boursier, lunedì 11 novembre, con
particolare riguardo agli zingari e Claudio Vercelli,
giovedì 14 novembre, soffermandosi sui testimoni di Geova, intendono presentare
elementi di valutazione per delle storie che non hanno ancora incontrato
l’opportuna considerazione da parte di un pubblico la cui attenzione è
frequentemente richiamata sul resoconto del passato senza, però, che di esso
vengano raccontati aspetti non di certo secondari. Nei campi di concentramento
coesistevano più persone appartenenti a differenti categorie socioculturali. Un
universo di esistenze e di esperienze si articolò in quel modello di
istituzione totale, criminale, stritolante e omicida. Capire le diversità
umane, anche in un contesto così omologante, permette di recuperare non solo la
specificità di ognuna d’esse, sottraendole dall’oblio al quale le avrebbero
volute consegnare i carnefici, ma comprendere le complesse dialettiche della
vita che animavano luoghi della morte come i campi nazisti. Siti
dell’oppressione e dello sterminio che non costituivano un “accessorio”
del regime nazista ma la sua stessa essenza come Marco Brunazzi e Claudio
Vercelli spiegheranno nella lezione inaugurale, dedicata al
“nuovo ordine europeo” di matrice hitleriana, che si terrà mercoledì 6
novembre, presso la Sala Viglione del Consiglio Regionale del Piemonte in via
Alfieri 15 a Torino. Una concezione del mondo, quella nazista che si fondava su
di un razzismo tanto esasperato quanto istituzionalizzato. Peraltro lungi,
quest’ultimo, dall’essere una matrice propria solo ai seguaci del fuehrer
tedesco, esso trova le sue origini in un filone culturale che attraversa tutta
la scienza ottocentesca e novecentesca. Alberto Piazza, insigne
biologo, ne parlerà lunedì 18 novembre, cercando di spiegare i legami, per
nulla sottili, tra le fabbriche della morte e una concezione della vita fondata
sull’ascrizione agli individui di caratteri tanto rigidi quanto falsi,
ovverosia sulle logiche della “razza”. Termine tanto invalso, a tutt’oggi,
da costituire un problema ancora aperto per la costruzione di identità fondate
sullo scambio e sulla consapevolezza della diversità umana come valore
positivo.
A
fronte di ciò si pone quindi il problema di una memoria attiva, non ossificata
sulla scorta di pochi preconcetti, ma agita attraverso la sensibilità dei
contemporanei. E’ il grande tema del “come dirlo”, della didattica
civile e della pedagogia della resistenza delle quali sia Alessandra
Chiappano e Fabio Minazzi che Raffaele Mantegazza,
in due distinti incontri, il primo venerdì 6 dicembre, il secondo giovedì 12
dello stesso mese, tenteranno di mettere a fuoco i passaggi essenziali. Poiché
se di contenuti storici e storiografici spesso si discute, la grande carenza la
si registra soprattutto sul piano delle metodologie della comunicazione. E non
è una cosa da poco in una società quale la nostra dove alla sovrabbondanza
d’informazione si accompagna il difetto della comprensione.
La
vicenda delle deportazioni mette a nudo la nostra incapacità di dare un
significato a gesti, situazioni e luoghi che fuoriescono dalle traiettorie della
prevedibilità umana. Eppure, nella radicalità e nelle estremizzazioni di
quelle storie c’è molta della nostra modernità, sia pure nella sua forma più
violenta. Marcello Pezzetti, storico ma, soprattutto, archeologo
del sito Auschwitz, sul quale ha condotto ripetute ricerche, parlerà della
materialità di quel luogo, della sua esperienza fisica, partendo dall’oggi
per cercare di fornire il senso di quanto accadde ieri.
Un
corso che è un percorso, articolato in sette passaggi critici, aperto
all’interazione con il pubblico e a successive occasioni di riflessioni. Poiché,
per citare Antonio Machado, “il cammino si fa camminando”.
Claudio Vercelli
Torino, 12 ottobre 2002
(Istituto
Salvemini)
Il presente comunicato in formato Acrobat (.pdf)
Torna all'indice delle notizie
Progetto Web - Copyright ©2002 by Redazione
Triangolo Viola. Tutti i diritti riservati. |