Articolo da "il
foglio" |
"Chi ha paura
dell'agnello mite?" |
Non
tutti sanno che i Testimoni di Geova furono anche loro perseguitati dal
nazi-fascismo: perché non facevano il saluto a Hitler e alla bandiera nazista e
perché rifiutavano di svolgere il servizio militare in nome del comandamento «non
uccidere», cioè erano obiettori di coscienza.
Nei
lager furono il solo gruppo religioso a ricevere un loro contrassegno
d’identificazione: un triangolo viola cucito sulla casacca. A differenza degli
internati ebrei, politici, omosessuali, rom, i Testimoni di Geova avrebbero
potuto uscire dai lager firmando un’abiura. Ma non lo fecero, e circa 2.000 di
loro morirono nei campi. La storia dimenticata dei Bibelforsher
(letteralmente “studenti biblici”, così erano chiamati in Germania prima
del 1931) è ora documentata anche da una videocassetta intitolata I
Testimoni di Geova saldi di fronte all’attacco nazista,
che dopo essere stata presentata il 9 novembre ‘99 a Montecitorio gira ora
nelle scuole (info: 011.8609556).
Il
movimento religioso avventista dei Testimoni di Geova, nato negli Stati Uniti
nel 1878, negli anni Trenta in Germania contava 19.000 aderenti: 10.000 furono
internati. In pratica, 1 su 2 fu deportato, e 1 su 10 morì nei lager. In
Italia, dove i Testimoni prima della guerra erano solo 150 (oggi gli attivisti
sono 230.000), 83 finirono al confino e 2 furono deportati a Dachau: Narciso
Riet vi morì nel giugno del ’44.
Oltre
a essere tra i primi a essere deportati, i Testimoni furono tra i primi a
denunciare già nel ’34, subito dopo l’ascesa di Hitler al potere, che cosa
accadeva dentro i campi, disponendo di notizie di prima mano: lo scrissero nelle
loro riviste che distribuivano con capillarità in tutta l’Europa. E pagarono
anche per questo.
Quello
che segue è un testo presentato da un’insegnante di scuola superiore, Susanna
Conti, a Moncalieri (Torino) il 6 aprile scorso a un dibattito in cui veniva
proiettata la videocassetta.
come
e perché dimentichiamo una parte della storia
Chi ha paura dell’agnello mite?
«Ma,
papà, che cosa vuole la storia?»
Cesare
Musatti, Chi ha paura del lupo cattivo?,
Roma, Editori Riuniti, 1987
1. Una favola per presentare un problema
Non
si può parlare dei Testimoni di Geova nei lager nazisti senza chiedersi se le
persone sappiano davvero qualcosa dei Testimoni di Geova. Io stessa posso dire
di conoscerli abbastanza per caso: la presenza a scuola di alcune studentesse e
(nella vita di scuola) delle loro famiglie mi ha permesso di avere con loro
rapporti più profondi di quelli che vanno a costituire i luoghi comuni.
Rapporti di amicizia, poi estesi ad altri. L’impressione è che nella nostra
società interetnica, interculturale e (forse) fortemente laica i Testimoni
siano dimenticati due volte: nella
loro esperienza della persecuzione nazista e nella vita quotidiana.
Quali sono gli
scenari mentali che si attivano quando si parla dei Testimoni? Riporto alcune
frasi raccolte in modo non scientifico, ma comunque significative:
-
Ma
hanno lo stesso Dio che abbiano noi?
-
Io
gli dico subito: «No, guardi, ho già il mio Dio».
-
Se
gli dai corda, non ti mollano più...
-
Però
sono tutta brava gente: ce n’è uno qui che fa l’infermiere volontario!
-
Per
la maggior parte sono un po’ ignoranti e allora qualcuno ne ha approfittato.
-
Però
sono da ammirare: vanno in giro anche quando fa freddo!
-
Sembrano
tutti uguali. Li vedi subito. Non spostano neanche l’aria che respirano.
-
Avevo
la donna che veniva a stirare: avrei potuto lasciar lì tutto che lei non
avrebbe preso niente.
-
Sono
quelli che non vogliono le trasfusioni. Certo che adesso anche noi, con tutto
quello che ci si può prendere...
-
Ma
c’erano già, in Germania?!
Un
gruppo da “tollerare”, insomma (oggi nessuno oserebbe non essere
“tollerante”): sono poco colti, si riconoscono subito perché sono
“diversi” (chissà da quale modello) e comunque non sono cattivi e non danno
troppo fastidio se li si tiene a distanza (in certi gruppi cattolici
integralisti sono state diffuse tecniche di difesa dai Testimoni di Geova). Accettarli, conoscerli
no. Tanto meno pensare che anche loro siano (come sono) uno/a diverso/a
dall’altro/a.
Credo che sia
importante tentare un’ipotesi per spiegare questa doppia rimozione. Si
rimuove quello di cui si ha paura. Ed è a prima vista paradossale che si
abbia paura non del lupo cattivo, ma dell’agnello mite.
Il lupo della
storia è diventato, tutto sommato, un personaggio simpatico: da metafora
dell’oppressore è slittato verso immagini più rassicuranti e controllabili,
da quella disneyana del lupo eterno sconfitto fino a quella volutamente
esagerata del lupo sfortunato che ispira solidarietà. Provate a giocare con
un/una bambino/a a simulare la paura: Andiamo
per il bosco a vedere se c’è il lupo... Uno dei segnali di cambiamento
nel tempo del/della bambino/a si ha quando alla fine del gioco smette di fare la
parte di quello che scappa e vuol essere lui/lei a fare la parte del lupo.
Insomma, il lupo diventa “integrato” in due modi possibili: o le sue
caratteristiche sono rese inoffensive (ad esempio dalla sfortuna) oppure se ne
assume il ruolo. È più facile vestire il ruolo dell’oppressore invece di
quello della vittima. Anche perché si può sempre far finta che la vittima non
ci sia. Dimenticandola.
Invece
all’agnello della storia non ha mai pensato nessuno. Nessuno ha mai pensato di
tramandarne un’immagine, tanto meno di farla evolvere. Nessuno giocherebbe mai
a fare la parte dell’agnello. Perché l’agnello è mite e saranno pure beati, i miti, ma non saranno mai vincenti.
Perché l’agnello è la vittima e la vittima (a meno che sia rimossa)
impone di prendere consapevolezza del ruolo reale dell’oppressore. Tanta
fatica e tanta cultura per “contenere” il lupo ed ora la presenza
dell’agnello fa tornare il lupo nella sua dimensione che provoca paura e che
si era riusciti a eliminare! Brava gente, gli agnelli, sono
un po’ ignoranti, però sono da ammirare: non spostano neanche l’aria che
respirano... Sono anche capaci di farsi ammazzare nei lager.
Chi è
l’agnello e chi è il lupo della storia? E che cosa vuole la storia?
Soprattutto la Storia con la S maiuscola... Che il lupo sia condannato o che il
lupo sia dimenticato e magari assolto dal silenzio? E se il lupo va dimenticato,
quale strada migliore che quella di dimenticare prima di tutto l’agnello?
2. Il lupo della Storia
Il
lupo della Storia è Hitler. Ce ne sono altri: da quello romano che stermina i Mandubii in Gallia (donne, vecchi e bambini) a quello delle foibe, a
quello dei gulag, a quello dei Balcani, a quello (quasi sconosciuto) della
Cecenia e dell’Uganda (che da noi non fa notizia). Ma Hitler li rappresenta
bene tutti: è il paradigma del lupo.
Il rischio, oggi,
è che Hitler sia soltanto più Storia. Lo vediamo bene a scuola. Eccetto che in
alcune situazioni molto valide e diverse fra loro (numerose, per fortuna),
Hitler è un capitolo di Storia. Come Cavour, come Giolitti, come il
Sessantotto:
-
Auschwitz,
ma scusa, non era Custoza?
-
Era
dopo?
-
E
che c’entran le docce?
-
Impiccavano
al suono di un tango?
-
Fratelli
Rosselli o Bandiera?
-
Sei
milioni o seicentomila?[1]
Il
che equivale a dire che Hitler è un lupo che non fa più paura, perché lo
abbiamo contenuto fra le pagine di un manuale. Se poi lo si vede in un filmato
d’epoca è anche ridicolo, ma ciononostante continua ad alimentare miti (tra
gli ultras allo stadio come nell’Austria di Heider).
Perché allora
rimuovere l’agnello mite della Storia? Perché costringe a porsi domande, a
valutare l’abisso a cui possono arrivare uomini contro altri uomini, a
considerare che non è affatto scontato che non possano esserci altri agnelli
miti oppressi dai lupi della Storia.
Che cosa può
fare la scuola contro questa rimozione? Molto sul piano dell’informazione, di
più sul piano della formazione. Informare sul lager (e sui Testimoni in lager)
non è facile: i ragazzi tendono anch’essi a rimuovere il lupo della Storia, a
meno che non siano coinvolti a costruirla, la Storia. Questo è possibile almeno
in due modi:
·
attraverso
l’ascolto dei testimoni di ciò che è stato e attraverso il dialogo con loro
(almeno finché è possibile)
·
attraverso
il lavoro di ricerca e di elaborazione dei dati.
I
Testimoni di Geova stanno offrendo per l’ascolto e per il dialogo un materiale
importantissimo sia per la qualità sia per la prospettiva nuova (che è il caso
davvero di sottolineare). Con la videocassetta I
Testimoni di Geova saldi di fronte all’attacco nazista i Testimoni si
propongono come soggetto di cultura e
non come oggetto di cultura. Credo che
si tratti di un fattore fondamentale perché la vicenda storica della
persecuzione nazista non può (e secondo me non deve) essere visitata con
presunta obiettività esterna e senza tenere conto del punto di vista del
protagonista (del punto di vista dell’agnello mite). Ci sono snodi della
Storia dopo i quali il mondo e gli uomini non possono più essere come prima. E
questo snodi non debbono essere affrontati assieme ai giovani sine
ira et studio. Sarebbe falso e fuorviante. Senza ira, forse, ma certamente con
passione e schierandosi con chiarezza.
Il lavoro di
ricerca è la seconda possibilità. In una classe del Liceo di Moncalieri
(Torino) nel 1997 è stato elaborato un ipertesto sulla deportazione nazista[2]:
al progetto e alla realizzazione hanno partecipato due allieve Testimoni che
hanno reso noto all’insegnante e agli studenti quello che nessuno prima sapeva
e cioè l’esistenza dei Triangoli Viola. Poco importa che il lavoro non sia
stato valutato né tanto meno considerato agli Esami (allora ancora di
Maturità): mettere in comune informazioni e trasformare le informazioni in
giudizi argomentati è servito a far crescere giovani e adulti. Credo che ora il
filmato Saldi possa e debba essere segnalato in ogni bibliografia seria per
la stesura di saggi brevi sulla realtà del lager[3].
Va detto che il
lavoro di informazione sul lager (e sui Testimoni in lager) rimane monco e forse
poco utile se non si colloca in un progetto di formazione delle persone (degli
studenti e anche di chi lavora assieme a loro). Per dire come, conviene tornare
al lupo e all’agnello mite della storia quotidiana.
3. Il lupo della storia di tutti i giorni
Il
lupo quotidiano non si può ridurre a paradigma. L’abbiamo dentro tutti. Il
che non significa che dobbiamo sentirci in colpa. Basta conoscerlo, accettarlo,
usarlo per la sua forza che non è detto debba essere violenta. Altrimenti
diventa il lupo prepotente che per affermarsi (o anche solo per rassicurarsi e
sentirsi fortunato) trova con facilità troppi agnelli miti: i Cinesi al
mercato, i Marocchini e i Senegalesi dei cantieri in nero, gli Albanesi al
semaforo. Facciamoli diventare tutti la stessa cosa, tutti uguali perché sono
“diversi”, magari tutti irregolari o anche spacciatori, così non dobbiamo
preoccuparci di distinguere, di capire le differenze, di ammettere la differenza
nostra. Non dobbiamo preoccuparci di conoscere. E il lupo dentro di noi è
soddisfatto. Siccome non sa, può anche illudersi di essere capobranco.
Che cosa rende i
Testimoni di Geova agnelli miti? Dalla parte del lupo, il fatto che il lupo
continui a non volerli conoscere. Dalla parte degli agnelli, il fatto di essere
un gruppo e di presentarsi agli altri attraverso lo strumento della parola.
La scuola, se ha
un progetto reale di formazione, non deve inventare il “modulo” o
l’“unità” o l’“ora” di intercultura.
Fare degli altri assieme a noi un oggetto magari privilegiato di studio equivale
a mantenere gli altri diversi da noi
per catalogarli in un gruppo facilmente riconoscibile. La scuola deve arrivare a
superare l’idea che l’altro si debba solo “accettare” o “tollerare”.
L’altro c’è, è uguale a me perché è diverso da me. Siamo uguali tutti
solo se ciascuno è differente.
E allora?
Conoscere i Testimoni agnelli miti sapendo chi sono come gruppo? Certo, ma
soprattutto scegliere di conoscere Rosangela che è diversa da Sabrina che è
diversa da Elisabetta, Giuseppe che è diverso da Alberto che è diverso da
Marco. Marco in classe era così poco mite e così “casinista” che la
professoressa di matematica gli ha scritto una nota un giorno in cui lui era
assente. Anche i pregiudizi “al contrario” sono figli del lupo cattivo: gli
Ebrei sono tutti intelligenti, i Valdesi sono tutti coltissimi, i Testimoni di
Geova sono tutti obbedienti. Così obbedienti che facevano gli obiettori di
coscienza quando obbedire era ancora una virtù... E disobbedire significava
andare in prigione.
Soltanto dopo che
siamo davvero tutti uguali perché siamo tutti diversi, diventa formativo (e non
solo a scuola, di sicuro) capire che cosa renda “gruppo” il gruppo, perché
insomma i Testimoni di Geova si presentino agli altri armati di parole o della
Parola.
Credo che qui
basti sottolineare il valore della parola-testimonianza, qualunque sia la fede o
la convinzione che si vuole presentare a chi ascolta. Forse è un altro aspetto
dell’agnello mite che il lupo della storia non riesce ad accettare: il
coraggio di dire quello in cui si crede. Come fa l’agnello della storia
che ribatte al lupo di non avergli intorbidito l’acqua, proprio mentre il lupo
lo azzanna.
Quali i messaggi?
Il primo è capire che non serve rimuovere l’agnello mite. Tanto più che
l’abbiamo dentro tutti anche quello, più o meno nascosto. Il lupo comunque
non si cancella. Perciò è il lupo che dobbiamo rendere oggetto di studio,
perché per essere testimoni di ogni fede o di ogni idea non occorra diventare
martiri mai più.
Il secondo
messaggio è quello di Hurbinek, il bambino nato ad Auschwitz e che non aveva
mai imparato a parlare[4].
Hurbinek, il dimenticato della Storia, quello che non aveva strumenti per dirsi
e per dire, ha trovato negli altri le parole per testimoniare anche davanti a
noi.
Susanna
Conti
[2] Studenti della V g del L.S.S. «Ettore Majorana» di Moncalieri (1996-97), Per non dimenticare, ipertesto in http://www.arpnet.it/~major/weil.htm (webmaster Alessandro Salmi con la collaborazione di Gianni Imbalzano); pagine sui Testimoni di Geova a cura di Sabrina Caleffi e Rosangela Topputo.
[3] Susanna Conti e Dario Corno, Manuale di Educazione alla Scrittura, Firenze, La Nuova Italia, 2000, p. 156.
[4] Primo Levi, La tregua, Torino, Einaudi, 1963, pp. 23-24.
Per gentile concessione direttore il
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