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Le donne Testimoni di Geova e il Nazismo

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Libertà o lealtà. Nella scelta fra uno di questi due valori erano divise le Testimoni di Geova deportate durante il regime nazista. Esse, come tutti i deportati negli infami campi di concentramento di Adolf Hitler, nutrivano un grande desiderio di libertà. Fra l’altro, molte erano mogli e madri e questo acuiva il dolore della prigionia. Al tempo stesso, desideravano mostrarsi leali nei confronti dei loro ideali religiosi, ideali che erano il motivo della loro detenzione.

Ma perchè interessarsi del loro caso? Ebbene, molto, anche se non abbastanza, si è detto negli ultimi anni sulla vicenda degli uomini Testimoni perseguitati da Hitler a causa del loro rifiuto di prestare servizio militare nella Germania nazista. Meno si sa del motivo per il quale le donne Testimoni (tedesco: “Bibelforscherinnen”) subìrono lo stesso spietato trattamento riservato ai loro uomini.

Le Testimoni furono tra le prime ospiti dei lager femminili. La scrittrice Violette Maurice racconta: "Erano state arrestate a migliaia all’avvento del Nazionalsocialismo, ed erano state costrette ad edificare loro stesse la tomba di Ravensbruck: le loro mani si erano scorticate costruendo le mura del campo e le ville delle SS all’esterno della cinta; i loro piedi nudi avevano sanguinato sulla ghiaia e sulle pietre. Morivano a centinaia ogni giorno, in quel periodo cadendo dall’alto delle impalcature, dalle quali a volte venivano fatte precipitare volontariamente".

Ma per quale motivo i loro ideali religiosi causarono la crudele detenzione nei campi di concentramento? Ebbene, come i loro uomini, esse, in quanto pacifiste, rifiutavano di sostenere in qualsiasi modo lo sforzo bellico nazista. Non solo non lavoravano nelle fabbriche di armi, ma rifiutavano anche ogni lavoro che in qualsiasi maniera avesse promosso il militarismo. Inoltre, benchè la loro opera di predicazione biblica fosse stata messa al bando nel 1933, continuarono a portare di nascosto alla popolazione tedesca il messaggio evangelico di fraternità e amore per il prossimo; al tempo stesso denunciarono con coraggio le atrocità del regime di Hitler. Con questi presupposti è facile comprendere la ragione del particolare accanimento dei nazisti nei loro confronti.

Una volta nei lager le Testimoni vennero addette ai lavori più massacranti e sottoposte ad una disciplina durissima in quanto erano ritenute delle traditrici. Maria Montuoro, deportata per motivi politici, racconta il trattamento che un giorno subìrono quattro bibelforscherinnen: “Sembravano cieche, sorde, paralitiche, idoli inaccessibili. Un’ausiliaria punzecchiava i loro corpi con la punta del suo bastone ferrato, spingeva verso di loro un grosso cane lupo per spaventarle, le picchiava ferocemente sul viso e sulla schiena senza che le donne facessero il benchè minimo movimento di difesa a quel sacrificio inutile e sublime”. Tale era la sofferenza psicologica che molte smisero di avere le mestruazioni durante tutto il tempo in cui vennero rinchiuse.

Eppure, esse avrebbero potuto in qualsiasi momento ritrovare la libertà e sottrarsi alla persecuzione. Sarebbe bastato firmare un modulo di abiura della loro fede per essere rilasciate immediatamente. Margarete Buber-Neumann scrive in merito: “In un certo senso, le Testimoni di Geova si potevano ritenere delle “prigioniere volontarie. Infatti per essere immediatamente rilasciate sarebbe stato sufficiente presentarsi dalla capo-sorvegliante e firmare una dichiarazione con la quale abiuravano la loro fede. Il testo del documento suonava all’incirca così: ”Con la presente dichiaro che da questo momento non sono più una Testimone di Geova e non presterò più il mio sostegno all’ Unione internazionale dei Tesimoni di Geova, nè con la predicazione, nè con gli scritti...”. Nonostante ciò, solo pochissime si avvalsero di questa possibilità mentre la stragrande maggioranza rimasero leali alle convinzioni che le facevano considerare nemiche del nazismo, anche se questo significò continuare e, spesso concludere in modo tragico, la propria prigionia.

Riuscirono queste sofferenze e privazioni a piegare il loro spirito altruista? Ciò accadde alla maggioranza delle altre deportate che si trasformarono in esseri egoisti, abbruttiti dai patimenti, la cui unica preoccupazione era provvedere alle proprie esigenze a scapito delle compagne di prigionia. Una donna cattolica che venne rinchiusa nei campi descrisse con dovizia di particolari l'orrore quotidiano, le condizioni disgustose in cui viveva. Ma parlando delle Testimoni, che ebbe modo di conoscere di persona, le definì “una roccia in mezzo al fango”. Infatti, in molti modi le Bibelforscherinnen, si distinsero dalla massa delle deportate dandosi da fare per aiutare quante erano loro vicine.

Ad esempio, la deportata italiana Maria Ida Furst Castro, raccontando della sua detenzione a Ravensbruck, dice: “Mi venne il tifo pidocchiale e una prigioniera mi ha salvata dalla selezione ... aveva un triangolo lilla. [Questo era il colore del distintivo dei Testimoni nei lager.] Lei mi ha risparmiata nel senso che non mi ha mandata al Revier, perchè in quei tempi c’erano selezioni [dal Revier per le camere a gas] tutti i giorni. Allora questa Lilli, ha chiesto alla capo blocco, che era responsabile di chi rimaneva nel blocco durante le ore di lavoro, di lasciarmi su questo giaciglio, di non denunciarmi, e con questo mi ha salvata”. Analogamente, un'ebrea che è stata internata nel campo di concentramento di Lichtenburg disse a proposito delle Testimoni: "Erano un popolo coraggioso, che sopportava il proprio destino con forza d'animo. Anche se ai prigionieri non ebrei era proibito parlare con noi, queste donne non osservarono mai questa norma. Pregavano per noi come se fossimo loro familiari e ci scongiuravano di tener duro".

Le stesse SS rimasero colpite dalla forza d’animo e dalla costante adesione ai propri princìpi di queste prigioniere. Per tale motivo, negli anni successivi all’apertura dei lager, cominciarono ad impiegarle in incarichi di responsabilità nell’amministrazione dei campi e quali domestiche e bambinaie nelle loro abitazioni. Diedero loro degli speciali lasciapassare che gli consentivano di uscire senza scorta dal lager per svolgere il lavoro assegnatoli, certe che sarebbero rientrate da sole al tempo stabilito.

Concludendo, si può quindi asserire che dovendo scegliere fra libertà e lealta, le Testimoni decisero di sacrificare la prima per la seconda. Genevieve de Gaulle, nipote del generale francese, venne imprigionata lei stessa a Ravensbruck dove conobbe le Testimoni. Nell’immediato dopoguerra scrisse circa la loro lealtà: “Tutte dimostravano un grandissimo coraggio e finivano per imporsi alle SS stesse. Avrebbero potuto essere liberate dal campo se avessero rinunciato alla loro fede. Al contrario, non cessavano di resistere, riuscendo anche a introdurre nel campo dei libri e dei volantini che hanno significato l’impiccagione per diverse di loro”. Cosa permise a queste donne di opporre una così ferrea resistenza al regime più sanguinario di questo secolo e di soppravvivergli? La stessa De Gaulle afferma: ”In ultima analisi queste donne, all'apparenza tanto deboli e sfinite, erano più forti delle SS, che avevano dalla loro parte il potere e ogni mezzo. [Le testimoni di Geova] avevano la loro forza, ed era la loro forza di volontà che nessuno poteva piegare".

Nicoletta Napoli


Note:

1 - Il Ponte dei Corvi, M. Massariello Arata, Milano, 1979, p.  42.
2 - Ravensbruck, Pace al mondo, E. Marcucci, in ALI, anno XXXI, 1960, n.1\2,  Firenze, p. 9, 10.
3 - Prigioniera di Stalin e Hitler, M. Buber-Neumann, Bologna, 1994, p. 224.
4 - Citata in La Torre di Guadia, 15 gennaio 1996, Roma, p. 4.
5 - La speranza tradita, a cura di Ilda Verri Melo, Firenze, 1992, p. 136.
6 - Svegliatevi!, 22 agosto 1995, Roma, p. 11.
7 - Si veda, ad esempio, la circolare del campo di Auschwitz: Kommandatur-Befehl nr.19\42, del 30\09\42. Archivio Centro di Documentazione sui Bibelforscher.
8 - Lettera dell’8 agosto 1946, Archivio Centro di Documentazione sui Bibelforscher.
9 - Citato in Svegliatevi, o. c., p. 10.

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